Pugliese del Veneto - Italia

La razza Pugliese del Veneto, detta anche Poggese o Poese, è ora scomparsa, ma fino a qualche decennio fa era ampiamente diffusa ed apprezzata in una vasta area del Veneto meridionale, nella quale era la razza largamente prevalente.
Questi bovini erano di ceppo podolico ed erano particolarmente apprezzati come animali da lavoro, nella pianura alluvionale creata dai grandi fiumi, il Po, l’Adige e il Brenta, dotata di terreni molto fertili e profondi, ma anche tenaci, che richiedevano animali di grande potenza e resistenza.

Dove si trovava

L’area principale di diffusione ed allevamento era la provincia di Rovigo e la parte meridionale delle provincie di Padova, Vicenza e Verona e, nella bassa provincia di Venezia, le zone di Chioggia e Cavarzere.
Il Manetti nel 1925 descrisse la Pugliese della bassa padovana come quella che aveva ricevuto più miglioramenti, tanto da essere da alcuni distinta come varietà a parte, detta “padovana”, e difatti mostre della razza si tenevano a Este e a Conselve, a partire dal principio del secolo scorso.
Nella zona dei Colli Berici, in provincia di Vicenza, era più che altro adibita al lavoro nelle cave, per tirare i carri carichi di pietre; questi animali erano di taglia più ridotta rispetto agli altri, tanto che alcuni autori li consideravano una razza a parte.
Questi animali erano anche utilizzati nelle pianure costiere del Friuli, dove erano importati dal Veneto, e nella provincia di Treviso, seppure in modo disordinato e quasi casuale, con incroci improvvisati con bestiame locale.
In Emilia Romagna i Pugliesi del Veneto si trovavano nella provincia di Ferrara, nelle cui zone di bonifica erano quasi l’unica razza bovina presente, nella provincia di Bologna e nel Modenese, dove a fine ‘800, molti bovini da lavoro presentavano caratteri propri della Pugliese, in particolare le lunghe corna.
La Pugliese del Veneto era apprezzata anche in Romagna, nonostante la concorrenza dei buoi locali.
Questa razza era presente anche in Lombardia, nella provincia di Mantova, e in particolare nella zona delle risaie, dove erano molto apprezzati per il lavoro, ed erano di solito importati dal Veneto, piuttosto che allevati in zona.

Perché è scomparsa

Il diffondersi della motorizzazione in agricoltura mise in crisi le razze bovine specializzate per la produzione del lavoro, mettendole a rischio di estinzione ma, mentre per altre razze riuscì il salvataggio, selezionando il bestiame per la produzione di carne, l’estrema specializzazione della Pugliese del Veneto ne determinò la scomparsa.
Nel periodo di transizione tra motore animale e meccanizzazione furono organizzati numerosi convegni, con la partecipazione dei più grossi nomi del mondo accademico e politico, in cui si discuteva della riconversione dei bovini da lavoro in animali da carne, e questo ha permesso di salvare molte razze, che oggi costituiscono un importante presidio della biodiversità zootecnica italiana.
La Pugliese del Veneto invece, pur vedendo sempre riconosciute le sue qualità di docilità, potenza, rapidità di movimenti e robustezza, e pur essendo considerata a duplice attitudine, lavoro-carne, fu vittima della ventata di rinnovamento dell’agricoltura, che vedeva nell’animale da lavoro un residuo del passato da eliminare.
Alcuni autori, come Pozzer, già nel 1924, si auguravano che scomparisse, e nel 1962 Bettini la definì come il “male necessario” di un’agricoltura arretrata, basata su una cerealicoltura estensiva, e lamentò che una parte non piccola della Venezia Euganea non fosse riuscita a liberarsi di questo tipo di bovini.
Oltre alla meccanizzazione agricola, la scomparsa della Pugliese del Veneto si deve anche attribuire alla frammentazione delle proprietà fondiarie, che richiedeva animali da lavoro di taglia più piccola, come la grigia. Viceversa, le grandi aziende, sottoposte alle trasformazioni fondiarie, si trovavano ad avere grandi disponibilità foraggere, e sceglievano di introdurre bestiame da latte, in particolare di razza Frisona, Bruna o Pezzata rossa friulana.

Origini

La Pugliese del Veneto apparteneva al ceppo podolico, costituito da bovini grigi di grande taglia e dalle ampie corna, molto simili all’uro, il Bos primigenius, progenitore selvatico delle razze bovine europee.
Il nome del ceppo podolico deriva dalla Podolia, nell’attuale Ucraina, da cui sarebbe arrivata in Italia ed in altri paesi europei al seguito delle orde barbariche degli Unni di Attila a metà del 5° secolo d.C.
Molti autori, a cavallo tra ‘800 e ‘900, seguendo la classificazione dello zootecnico francese André Sanson, definivano questo ceppo come “asiatico”, definendolo addirittura come una sottospecie (Bos taurus asiaticus) e chiamando questi animali “Grande razza grigia delle steppe”.
Altri autori lo definivano invece come “ungherese”, considerando come capostipite del ceppo la razza Grigia Ungherese (Magyar szürke) diffusa nella puszta ungherese.
Altri autori ritengono invece che i podolici sarebbero originari dell’Italia peninsulare, identificandoli con i bovini a corna lunghe raffigurati nelle pitture e nelle sculture etrusche; i Romani avrebbero poi diffuso gli animali in Italia e nelle zone da loro conquistate.
Non è chiara l’epoca in cui la razza fu introdotta dal sud Italia, ma il grande scrittore francese Montaigne, nel suo Viaggio in Italia, del 1580, descrisse l’incontro con dei grossissimi buoi grigi nella pianura a sud di Monselice, già da lui incontrati in precedenza presso Innsbruck, nelle proprietà dell’arciduca d’Austria, al quale erano stati però donati dal duca di Ferrara.
Nel 1858 il Keller lodava i buoi pugliesi del padovano. Gli animali erano rimasti molto simili alla popolazione di provenienza, anche se ne erano state migliorate le attitudini alla produzione della carne mediante incrocio con tori romagnoli, che non ne avevano pregiudicato l’attitudine alla produzione di lavoro. Nel 1925 Manetti affermava che non c’era allevamento in cui non ci fosse sangue romagnolo.
D’altra parte la Pugliese del Veneto aveva funzionato come incrociante su altre razze podoliche, come l’Istriana (Brajkovic, 1999), e nel 1874 e anni successivi in Romagna vennero introdotte dal Polesine “le più belle sopranne”, per ripristinare le caratteristiche originarie del tipo podolico “dalle lunghe corna affusolate”, che si erano perse con eccessivi incroci con Chianini e Marchigiani, determinando un eccessivo ingentilimento.

Consistenza

Nei censimenti la consistenza della Pugliese del Veneto è di solito accorpata a quella della popolazione podolica istriana, oggi nota come razza Istriana (vedi Taurus, 5, 2006).
Durante la prima guerra mondiale la vicinanza dell’area di diffusione della Podolica alla zona di guerra fece sì che questi bovini furono una parte importante dei quasi 700 mila buoi incettati dall’esercito per scopi bellici (Pirocchi, 1919).
Nel 1927 si contavano 255.000 capi (compresi 28.000 Istriani) e nel 1940 esistevano 220.419 capi di Podolica nell’Italia settentrionale, di cui 191.000 in Veneto e i restanti soprattutto in Emilia Romagna e Lombardia.
È da notare che nel 1940 la Podolica (allora indicata come Pugliese) con 634.381 capi era la seconda razza d’Italia, dopo la Bruna, ed il Veneto era la regione d’Italia che ne allevava più esemplari: 191.000, pari quasi al 35% dei capi totali, superando la Campania (122.422) e la Calabria (119.500), mentre la Puglia, pur dando il nome alla razza, aveva solo 41.782 capi.
Negli anni successivi mancano dati aggiornati sulla consistenza della razza, ma è registrato un costante calo del bestiame da lavoro nelle zone in cui era diffusa.
È difficile stabilire con esattezza il momento dell’estinzione di una razza, ma probabilmente la Pugliese del Veneto scomparve intorno al 1970, visto che, in un accurato rilevamento del 1973 nella provincia di Rovigo, non si riuscì a censire nemmeno un capo di questa razza.

Caratteristiche della razza

Pur essendo la Pugliese del Veneto molto apprezzata come animale da lavoro non era esente da difetti morfologici, e spesso si discostava molto dallo standard di razza, che si doveva intendere più che altro come un obbiettivo da raggiungere.
I pregi unanimemente riconosciuti erano la grande potenza e resistenza alla fatica, la docilità e la vivacità e sveltezza nei movimenti.
Per contro si segnalavano spesso dorsi insellati, arti esili, appiombi non perfetti, in particolare il difetto di “sotto di sé” al posteriore, scarsissima precocità, produzione di latte non sempre sufficiente a garantire lo svezzamento del vitello, basse rese al macello.
Lo standard di razza prevedeva rusticità, forte costituzione, temperamento vivace, rapidità nei movimenti svelti, con spiccata attitudine al lavoro e buona attitudine alla produzione di carne.
Era prevista una produzione latte di 700-1000 litri per lattazione, che spesso non veniva raggiunta.
Il mantello doveva essere con peli corti, lisci e aderenti, di colore grigio, con varie gradazioni, più scuro nei tori, in particolare sul contorno degli occhi (occhiaie), collo, tronco, spalle e avambraccio, sul terzo inferiore del tronco e sulla faccia esterna di cosce e gambe.
Era richiesta pelle scura, e pigmentazione nera su mucose delle aperture naturali, fondo dello scroto, prepuzio, musello, fiocco della coda, ciglia, unghioni, mucosa del palato, faccia dorsale della lingua (compresa la parte fissa), cercine coronario, contorno orecchie e palpebre.
Erano tollerate solo depigmentazioni parziali e limitate delle regioni sopra indicate e il ciuffo rosso fino al secondo anno di età. Il labbro inferiore presentava una leggera orlatura centrale rameica.
La cute doveva essere di medio spessore, pastosa, facilmente sollevabile (per abbondanza di tessuto connettivo sottocutaneo).
Si richiedeva una testa leggera a profilo diritto, con fronte larga e leggermente depressa tra arcate orbitarie leggermente sopraelevate, sincipite a forma di M molto largo, con ciuffo formato da pelo corto e aderente; regione facciale allungata, specialmente nelle femmine; musello largo con narici ampie; orecchie di media lunghezza, molto mobili; occhi a fior di testa e vivaci. I soggetti con testa grossolana e pesante o a profilo non rettilineo non erano accettati.
Le corna erano di media lunghezza (40-45 cm), dirette in avanti ed in alto a lira allargata, con la punta rivolta indietro, di media grossezza, bianco avorio alla base e nere in punta dopo il quarto anno, e completamente nere nei giovani. Soggetti con corna troppo pesanti, giallognole o molto asimmetriche erano esclusi.
Il collo doveva essere di media lunghezza nelle femmine, corto e muscoloso nei tori, con giogaia bene sviluppata ed estesa regolarmente dal mento fino a sotto lo sterno.

Conclusione

La razza Pugliese del Veneto ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo agricolo della pianura del basso Veneto, dove era considerata insostituibile come motore animale, finché l’avvento dei trattori ne determinò la scomparsa. Infatti, sebbene fosse universalmente definita come razza a duplice attitudine, lavoro e carne, le sue caratteristiche di produttrice di carne non erano paragonabili a quella delle altre razze, italiane ed estere, che nel frattempo si erano affermate.

Testi consultati

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